
Prima o poi doveva succedere, qualcuno doveva chiederglielo.
E infatti eccola lì, sulla scrivania di Matt Cutts, la domanda che serpeggia da tempo per il web e che ogni professionista SEO/SEM/SES o esperto di marketing si è posto almeno da quando esistono i social network: “I like, i retweet, i commenti e le cosiddette interazioni su Facebook e Twitter vengono prese in considerazione dall’algoritmo di ranking di Google? E se sì, quanto?”.
Domanda che ha sollevato in passato ogni sorta di dibattito e speculazione, tra chi pensa che più link provenienti dai social media contribuiscano a far crescere il ranking di un sito e chi invece sostiene la non influenza.
La risposta arriva veloce e chiara, spiegata nel nuovo video capo della squadra antispam di Google, Matt Cutts, e ripresa anche da Jennifer Slegg di Search Engine Watch.
E di base la risposta è no: i fan che ottieni su facebook o i followers che raccogli su Twitter non aiutano il ranking del tuo sito.
“Le pagine di Facebook e Twitter sono considerate come tutte le altre pagine web nel nostro indice, esordisce Cutts, quindi se qualcosa succede su una delle due, e il nostro crawler è in grado di rilevarlo, allora possiamo fornire queste informazioni nei risultati di ricerca”. Ma arrivare a fare un’indagine specifica per dire “tu hai questi followers su Twitter o questi like su Facebook” no, il nostro algoritmo di ranking al momento non prende in considerazione questi indici”.
A questa stessa conclusione, per la verità, era già arrivato poco più di un mese fa Eric Enge, presidente di Stone Temple Consulting, attraverso un esperimento. Enge aveva invitato diverse persone a cliccare “mi piace” su tre domini creati ad hoc, scoprendo che il ranking per Google non saliva di una virgola, con o senza “mi piace”. La ragione tecnica alla base è che Google non ha informazioni su chi ha messo il “like” e quindi non può dare fiducia al link che si genera, perché chi ha cliccato potrebbe essere una persona molto influente così come un profilo inesistente.
Oggi Cutts con le sue parole conferma la posizione di Enge e aggiunge altri due motivi per cui Google non prende (ancora) in considerazione i social media come fattore di ranking:
1) Il primo è un problema tecnico/legale: i likes provengono da profili privati che i rispettivi social network custodiscono (sulla carta) con la massima riservatezza. Google può far attraversare il proprio crawler solo dove gli è consentito (robot.txt docet) e, rivelazione di Cutts, per diversi mesi hanno dovuto bloccare le attività di crawling sulle pagine di alcuni social network proprio per questioni legate alla sensibilità dei dati. (N.d.R. si può far notare che, per ovviare il problema, Yandex ha per esempio acquistato l’accesso all’intero firehose di Facebook e di Twitter…).
2) Il secondo è un problema che fa parte della stessa natura dei social media. Quello che succede sui social, infatti, è in continuo mutamento, mentre Google indicizza il contenuto pubblico delle pagine di un social network solo nel momento in cui passa il suo crawler. Quindi può succedere, dice Cutts, che una moglie con un marito violento lo abbia bloccato su Facebook, ma nei risultati di ricerca i due risultino ancora “amici”, visto che il crawler è passato prima della fine della loro relazione. “Visto che stiamo indicizzando un web imperfetto, dobbiamo preoccuparci molto della questione dell’identità e dei suoi cambiamenti”.
Se hai letto la prima parte di questo articolo e stai già correndo a disattivare tutti i tuoi account social, fermati un attimo. Matt non ti sta dicendo di non usare Twitter o Facebook, anzi, possono essere un bel modo di portare traffico al tuo sito e farti conoscere dal pubblico. Semplicemente non dare per scontato che Google possa vedere ogni link che viene dai social media, anche perché molte pagine possono essere bloccate o contenere dei link “nofollow”.
In altre parole, devi solo smetterla di vedere un rapporto causa-effetto tra le condivisioni che riceve il tuo sito e il suo ranking su Google. Te lo sta dicendo lo stesso Big G: questo rapporto, al momento, non esiste. È più probabile invece che si tratti di una correlazione: un sito ha un buon contenuto, quindi sale nel posizionamento su Google e quindi viene anche cliccato e condiviso dagli amici di Facebook e Twitter.
Ancora una volta l’attenzione è tutta sul contenuto di un sito (se ti stai chiedendo come creare dei buoni contenuti, vai a rileggerti il post di ieri sulle buone pratiche di link building). I social media, però, possono servirti come cartina tornasole per verificare, anche più velocemente rispetto a Google, se quello che hai pubblicato piace o meno agli utenti. Quindi corri subito a riattivare il tuo account Facebook J
E per il futuro? Cutts è ottimista e dice che nei prossimi 10 anni i “social signals” potrebbero essere considerati in modo diverso. “Penso che in 10 anni saremo più vicini a capire le vere identità e le connessioni sociali tra le persone, ma almeno per il momento dobbiamo confrontarci con il web così com’è, con quello che riusciamo ad indicizzare e con le informazioni che riusciamo facilmente a reperire, contando di essere in grado di reperire queste informazioni nel futuro” conclude, ammettendo in parte una debolezza di Google, che ancora “non è pronto” per il mondo social, al momento troppo complesso per essere indicizzato da un solo algoritmo.