
Come un fiume in piena, il nuovo front man di Google, Gary Illyes, mette di fronte al pubblico dell’SMX East di New York tutte le novità stagionali dell’algoritmo di ricerca e di posizionamento più famoso del globo.
Pochi giorni fa era toccato ai fattori di crawling, l’altro ieri è stata la volta del Pinguino, ma ci sarà modo di parlarne ampiamente a partire dalla prossima settimana, quando il Penguin 3.0 comincerà a correre nell’indice di BigG.
Ieri invece è toccato a uno degli argomenti estivi più controversi dell’agenda di Google: il protocollo HTTPS e il suo presunto valore come segnale di ranking.
Una ricerca di qualche settimana fa, presentata da Searchmetrics aveva ridotto notevolmente il peso di questo fattore, relegandolo a segnale secondario e neanche troppo rilevante.
Un’altra ricerca, che mi ha segnalato Massimo Pittella in risposta ad un mio post su G+, fornisce invece dati leggermente diversi. Dallo studio di Caphyon emerge che l’utilizzo di un certificato SSL può influire, ma con un incidenza di solo 3 punti percentuali, sul posizionamento di un sito web nei risultati della ricerca.
Per districare questa matassa di dati discordanti, Illyes presenta i dati ufficiali di Google relativi all’incidenza di questo fattore.
Ad oggi, sostiene Illyes, solo il 10% di tutti gli URLs indicizzati sono trasmessi in HTTPS, mentre un URL di questo tipo è presente almeno nel 30% dei risultati mostrati nella prima pagina di una ricerca.
Illyes non solo conferma l’esistenza e le performance (al momento abbastanza ridotte) del nuovo algoritmo di ranking: se ne assume anche la paternità.
Illyes ammette che non è stata solo una sua idea, ma è stato proprio lui in persona ad implementarlo.
“Quando a marzo di questo anno, racconta Illyes, ho proposto l’idea a Matt Cutts (capo della Search Spam), lui si è dimostrato entusiasta e così abbiamo immediatamente cominciato a lavorarci sopra.
A luglio era già pronto e in agosto è stato lanciato”.
La vera notizia non è la conferma del protocollo di sicurezza come fattore di posizionamento, ma il fatto che Google cominci a spedire alle conferenze di settore veri ingegneri con le mani sporche di codice e non semplici parolai alla Cutts o receptionist di centralino alla Mueller.
La notizia di secondo piano, invece è che l’HTTPS si conferma come segnale di importanza relativa, con un rapporto costi / benefici ancora troppo sbilanciato a sinistra.
L’impatto complessivo sulle query è inferiore all’1% e, come ammette Illyes, si tratta di un algoritmo più simile a PageSpeed che al Panda. Ovvero interviene quando, a parità di contenuto e autorità on e off page, Google deve valutare chi posizionare prima e chi dopo.
Nel finale Illyes fornisce alcune possibili evoluzioni dell’algoritmo che ha scritto, sottolineando che sono sviluppi al momento solo teorici.
L’algoritmo potrebbe essere utilizzato per rilevare i certificati SSL utilizzati e segnalare (quindi declassare) i certificati non idonei.
Inoltre potrebbe trovare la sua ragione d’essere nella valutazione di un sito e-commerce e attribuire una rilevanza maggiore a quei siti che gestiscono transazioni e pagamenti in HTTPS, la cui funzione principale (unica direi) rimane quella di garantire la riservatezza dei dati trasmessi.