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Il valore dei link: perché i backlink rimarranno a lungo il cuore dell’algoritmo di Google

La tesi di Brin e Page
La tesi di Brin e Page

La tesi di Brin e Page

Quando Matt Cutts ha annunciato che Google stava studiando un motore di ricerca non più basato sui backlink, il terrore ha percorso la rete come un’onda anomala.

In molti mi hanno chiesto cosa ne sarebbe stato del link building e, soprattutto, se avesse ancora un senso progettare una strategia SEO intorno al link building.

La mia opinione personale in proposito è che, al momento, nessun motore di ricerca può fare a meno dei link per restituire agli utenti risultati di qualità e pertinenti con la query.

Nella famosa tesi di laurea di Sergey Brin e Lawrence Page che ha permesso a Google di differenziarsi da tutti i motori di ricerca nati all’alba di internet, i link erano descritti come citazioni accademiche e bibliografiche: a distanza di più di quindici anni da quello scritto, questo è ancora il senso puro di un link. Un autore di una pubblicazione scientifica cita un altro autore, quando ritiene questo autore rilevante per il suo campo di studio oppure perché ne vuole rivalutare (oppure smontare) una tesi.

Se spostiamo il soggetto della citazione, dai volumi ammuffiti di una biblioteca ai bit del mondo virtuale, anche nel web il senso del link rimane lo stesso: attraverso un collegamento ipertestuale vogliamo estendere o approfondire una nostra considerazione o una nostra particolare visione su un tema, pesante, leggero, debole o inutile che sia.

Il numero e la qualità dei link ricevuti sono un indice di quanto i nostri scritti abbiano lasciato il segno (nel bene e nel male) e sono l’unica misura che permette di differenziare un contenuto in un mare di 500 miliardi di pagine web (secondo un stima approssimativa di Eric Enge). Migliori dei segnali di fumo veicolati attraverso i social network, che sono troppo veloci e troppo labili rispetto ad un contenuto ipertestuale, e migliori anche rispetto ai dati comportamentali (click, numero di visite e frequenza di rimbalzo), che sono troppo simili ai dati dell’audience di un broadcasting radio-televisivo.

Ogni alternativa ai link, come ho già avuto modo di ribadire, non può che comportare un balzo indietro nel tempo: quando la rilevanza di un tema rispetto ad un altro era guidata dall’industria dei mezzi di comunicazione di massa e il pericolo di manipolazione dei risultati era molto più alto.

Il problema serio e attuale, chiamato spam, è che il gioco pulito, all’interno di un sistema di regole condiviso, non piace a tutti: secondo i pessimisti questo è dovuto alla vulnerabilità della natura umana, secondo gli economisti è dovuto al fatto che intorno al web si muove un volume di affari di entità incommensurabile.

Nessuno e nemmeno il sottoscritto ama uno stato di polizia permanente, ma gli sforzi di Google (per via algoritmica e attraverso controlli manuali) non possono che essere apprezzati: anzi sono la dimostrazione assoluta di quanto i suoi fondatori siano gelosamente attaccati alla bontà della tesi di Sergey Brin e Lawrence Page.

A volte utilizza il bazooka per colpire una mosca, in altre circostanze una misera fionda per atterrare Golia: ma l’obiettivo è chiaro e ben definito, ovvero proteggere un sistema di classificazione del web globale basato sul giudizio dei suoi stessi utenti e senza alcun leviatano che ne tiri le fila.

Viva Google, viva Matt Cutts e buon link building a tutti!